Frodi informatiche sui Bitcoin

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Crescono le frodi informatiche che hanno come bersaglio i bitcon. Due sono gli obiettivi dei nuovi virus informatici: prelevare dati riservati (al fine di rubare denaro) e sfruttare le capacità di calcolo del computer per produrre le bitcoin.

Il mercato della cripto valute continua a registrare notevoli aumenti nel numero, persone coinvolte e valore degli investimenti. Un fenomeno con alti e bassi, ma che non accenna a diminuire.

Nel 2017, secondo il Kaspersky Security Bulletin, i miner di criptovaluta sono diventati una delle principali tendenze. I criminali utilizzano diversi strumenti e tecniche, come le campagne di social engineering o l’exploiting di software compromessi, al fine di danneggiare il maggior numero possibile di pc.

Una delle tecniche di frode scoperte consiste nel creare siti web che offrono agli utenti la possibilità di fare il download gratuito di versioni pirata di software come noti programmi per pc e applicazioni. Dopo aver scaricato il software, l’utente riceve un archivio che contiene anche un programma di mining. Questo programma viene quindi installato automaticamente insieme al software desiderato.

Secondo la ricerca di Kaspersky Lab, in tutti i casi rilevati, è stato utilizzato il software del progetto NiceHash, che ha recentemente subito una grave violazione della sicurezza informatica con conseguente furto di cripto valuta per milioni di dollari. Alcune delle vittime erano collegate a un pool di mining con lo stesso nome.

Gli esperti Usa hanno scoperto inoltre che alcuni miner contenevano una funzione speciale che permetteva all’utente di modificare da remoto il numero di wallet, il pool o il miner. Ciò significa che i criminali, in qualsiasi momento, potrebbero impostare un’altra destinazione per la cripto valuta e quindi gestire i propri guadagni distribuendo il mining flow tra i wallet o persino sfruttare il computer della vittima per un altro pool di mining.

 

Vivere in una bolla. La vita ai tempi di Facebook

ECHO-CHAMBERS

Viviamo sempre più all’interno di una “bolla” (“eco chambers”), cerchiamo informazioni che più aggradano alla nostra narrazione, ignorando ogni informazione “antagonista”. Benvenuti nel mondo delle news al tempo dei social media. L’utente medio di facebook cerca news che più si avvicinano alla sua visione del mondo e ignora ogni informazione “antagonista”. Un team internazionale di ricercatori, a guida italiana, ha messo recentemente sotto le lente il “consumo” di notizie in lingua inglese da parte di 376 milioni di utenti Facebook dal 2010 al 2015 su 920 pagine Facebook di quotidiani e agenzie stampa. Lo studio è stato pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).

ECHO-CHAMBERS

Gli utenti di facebook si muovono in una “cassa di risonanza” (in termine tecnico echo-chambers) dove le informazioni che trovano sono sempre più in sintonia con i loro pregiudizi. All’interno di queste bolle le informazioni trasmesse sono veicolate esclusivamente dal meccanismo del pregiudizio di conferma (confirmation bias), impedendo dunque qualunque tipo di scambio di opinioni differenti. “Le informazioni non sono processate in quanto vere, ma in quanto conformi ad una personale visione del mondo, a narrazioni – ha spiegato Walter Quattrociocchi, che coordina il laboratorio di Computational Social Science dell’Imt di Lucca e il progetto – L’enorme vastità di fonti, versioni e contenuti su internet massimizza questo processo”. E quando andiamo a cercare le notizie attraverso Facebook, e il 63% degli utenti di internet usa esclusivamente questo canale, cerchiamo solo conferme.

GUERRA ALLE BUFALE

“L’avvento dei social ha ridotto immensamente il potere selettivo e di filtro delle testate giornalistiche che ora sono costrette a rincorrere – ha proseguito Quattrociocchi – L’impatto dei social network è davvero più incisivo e profondo di quanto fino ad oggi ritenuto”. I grandi player dell’informazione online, come Google e Facebook, stanno affrontando la sfida alle news false. Testano sistemi informatici per limitare chi diffonde “bufale”, “etichettando” le notizie verificate o attraverso la creazione di “black list” di siti produttori di notizie false. Ma tutto potrebbe risultare inutile.

Gli autori dello studio spiegano infatti come la principale causa della disinformazione sembra risiedere nella polarizzazione degli utenti in rete. “Finora sembrava che la sfida fosse “correggere” persone poco istruite che abboccano a notizie pseudoscientifiche e complottiste, ma i nuovi dati dimostrano, invece, che la questione è molto più articolata e chiama in causa la crisi dell’intero sistema informativo e il disorientamento legato alla destrutturazione della società”, ha spiegato Fabiana Zollo (Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari Venezia) e coautrice della ricerca “Anatomy of news consumption on Facebook”.

SOLUZIONI

Una soluzione potrebbe essere la modifica dell’algoritmo dei social media, che ci permettesse di leggere anche altro, rispetto alla nostra “bolla”? «Potrebbe sembrare una soluzione, ma non lo è – risponde Zollo. Ricercare notizie che ci piacciono è un preciso processo cognitivo. È necessario capire come impostare una strategia di comunicazione per far passare messaggi differenti. Le soluzioni adottate per bloccare le fake news non funzionano, queste continuano a girare senza problemi». (nb)